mercoledì 24 dicembre 2014

Fuori luogo nel PD?

     
      Una strana giornata.
      Venerdì scorso ho partecipato a 2 dibattiti: la mattina a Torino con l’Anaao (il sindacato dei medici, per intenderci), il pomeriggio a Roma con il PD (il mio partito, per intenderci). A Torino si parlava di come cambiano i “Luoghi della salute”. Non è la mia materia specifica ma, da sindaco, ho preso parte (complice convinto) alla chiusura di un paio di ospedali e all’apertura di quello nuovo di Ferrara-Cona. E avevo qualcosa da dire di preciso sulla necessità di riorganizzare il sistema ospedaliero italiano (ovunque) per garantire standard accettabili sia per l’assistenza sociale, che per le cure primarie e le acuzie. Penso di essermela cavata benino e debbo dire che mi sono sentito molto ben accolto. Malgrado l’aver detto dal palco (a scanso di equivoci) “sono un sindacalista della Cgil nazionale”, sono stati tutti molto gentili e, mi è parso, interessati.
     Il pomeriggio, in un bel teatro romano in centro (Teatro de’ Servi) mi avevano invitato a parlare del “futuro prossimo dell’Europa” assieme al Presidente Zingaretti, a Fabrizio Barca del Mef e al deputato europeo PD Roberto Gualtieri. Nemmeno questa è esattamente la mia materia, anche se da cittadino e da sindacalista mi sono fatto qualche opinione in proposito. Per prepararmi ho parlato a lungo con Fausto Durante, il responsabile del “Segretariato Europa” della Cgil che frequenta più Bruxelles di Roma. Ho discusso con lui dei limiti della politica economica europea, di quelli di funzionamento dell’Unione, dei difetti di democrazia esistenti, di quello che bisognerebbe fare per un’Europa migliore e  più condivisa dai suoi cittadini. Ma mi sono trovato in un ambiente completamente distonico.
    Il Presidente Zingaretti ha descritto le cose importanti che ha fatto e sta facendo la Regione Lazio sotto la sua presidenza malgrado le difficoltà passate e presenti. Lo ha fatto in modo così convincente che io, da emiliano, con un neo presidente di regione eletto dalla minoranza dei cittadini, mi sono sentito un po’ a disagio: come se venissi da una Regione ferma e arretrata rispetto a quanto si sta facendo nel Lazio.
    Zingaretti (da ex parlamentare europeo) ha poi spiegato cosa è necessario fare e innovare in Europa, tenendo insieme, mi è parso di capire, innovazione delle politiche e modifica dei trattati.
    Dopo di lui è toccato a me. Avevo un lungo elenco delle cose che non vanno in Europa e che la allontanano dai cittadini ma ho preferito non esporlo se non dicendo che la politica economica europea è sbagliata, che persino gli Usa ci accusano di essere troppo attenti ai conti pubblici e di ostacolare la ripresa economica e la creazione di posti di lavoro. Credo di essere stato l’unico della serata a usare la parola “lavoro”. Tutti gli altri hanno spiegato che il semestre italiano ha ormai cambiato la politica europea grazie all’azione di Renzi e al successo elettorale del PD da lui guidato. L’eurodeputato PD Gualtieri ha persino spiegato che ormai il “fiscal compact in Europa non esiste più ed è stato sostituito dal criterio della flessibilità” grazie all’azione del PD.
    Io non credevo alle mie orecchie e mi sentivo sempre più a disagio: sempre più ospite a casa d’altri piuttosto che non partecipante a un dibattito del mio partito.
    Ho continuato dicendo che le arretratezze italiane (i bisogni veri di innovazione, dal territorio, all’energia, dall’antisismica al ciclo dei rifiuti, dal trasporto pubblico locale alla riforma vera della pubblica amministrazione, dalla scuola alla sicurezza) non le risolverà l’Europa senza un indirizzo e degli investimenti mirati del Governo italiano. Credo di essere stato l’unico anche a ricordare che se si precarizza il lavoro non ripartono gli investimenti e non aumenta la qualità della produzione.
    Solo Fabrizio Barca, più per senso di ospitalità che per convinzione, mi è parso, ha cercato di tenere insieme i due punti di vista presenti (quello trionfalistico di tutti e il mio più critico) sostenendo che l’azione politica del PD può cambiare le politiche europee se tutto il PD sosterrà l’azione innovatrice del nostro Governo. Io non credo nemmeno a questo ma ho evitato di dirlo. Sempre più mi sono sentito come un ospite che non può dire, in casa d’altri, che il cibo servito era molto elaborato solo per mascherare i piatti di sempre. E mi è venuto in mente quando gli operai alla mensa della Montedison dicevano per scherzo “Pesce veloce del Baltico in salsa di mais”, per dire “Baccalà con polenta”.
    Quando l’eurodeputato Gualtieri ha richiamato, nell’entusiasmo di quanto stanno facendo per il progresso i vari organi comunitari, il fatto che esiste una frattura tra istituzioni comunitarie e cittadini europei, sono stato a un passo da interromperlo dalla sala  per dire che quando c’è una frattura tra istituzioni e cittadini le possibilità sono sempre e solo due, in Europa e in Italia: o i cittadini non conoscono ciò che le istituzioni fanno o i cittadini pensano che le istituzioni raccontano frottole… In ogni caso non si può dare la responsabilità della frattura ai cittadini.
   Non l’ho interrotto dalla sala perché gli ospiti debbono attenersi almeno alle regole (europee) di bon ton.
   Una strana giornata: a proprio agio in casa d’altri il mattino, a disagio a casa propria il pomeriggio. Ma tant'è: è Natale e conviene essere buoni.

   

sabato 13 dicembre 2014

@matteorenzi finge di non sapere come nasce la corruzione (da ex sindaco dovrebbe)

Il Presidente Renzi dovrebbe sapere che la corruzione diffusa non è un virus ma l'effetto febbrile di una malattia genetica, diffusa in tutto il Paese. Questa malattia deriva dai meccanismi che regolano la rendita urbana, gli appalti pubblici, le concessioni.

A piccola testimonianza accludo un vecchio "racconto".


Da "Mente Locale", Bompiani 2011:


19. Il lungo assedio

Dieci anni da sindaco. Un periodo lungo quanto la guerra di Troia: solo a pensarlo mi vengono i brividi. Tante cose accadono. Molti personaggi compaiono in scena, si conoscono nuovi amici e se ne perdono, si trovano inattesi compagni di strada, alcuni vecchi protagonisti ci lasciano per sempre. E il sindaco è sempre lì, dall’inizio alla fine: non muove guerra a nessuno, cerca solo di difendere la città dagli attacchi continui. Alcune sono scaramucce di avventurieri, altri sono tentativi seri di espugnare la rocca municipale. Le minacce non vengono dalla politica e non si tratta di stranieri che invadono il territorio. Per me la costante decennale è stato l’assedio (più o meno cruento) da parte degli imprenditori edili locali. Un lungo e reiterato tentativo di costruire, costruire, costruire ovunque: villette, palazzine, condomini, capannoni, cliniche, alberghi, centri commerciali. Indipendentemente dal piano regolatore che decide la destinazione delle aree urbane. Così li aveva abituati il mio predecessore.
Questa fame di territorio da parte dei costruttori non nasce all’improvviso o per caso. In parte è patologica, diffusa su tutto il territorio nazionale, in parte è alimentata (in molte zone del territorio nazionale) dall’assenza di strumenti di pianificazione urbanistica e di controllo. Se in questo Paese la corruzione e l’illegalità sono diffusi e ormai endemici, ciò è dovuto soprattutto alla pressione dell’industria delle costruzioni. Questa è la mia ipotesi e la mia esperienza. Non solo per l’assenza di scrupoli dei singoli costruttori, ma per altri due motivi validi da troppo tempo in Italia. Il primo è il meccanismo della rendita fondiaria, costruito e alimentato dal dopoguerra a oggi, che genera un utile spropositato in rapporto ad altri settori industriali. Il secondo motivo, derivato da questo, sta nel fatto che i risparmi investiti in abitazioni sono stati e restano i più sicuri in valore e affidabilità degli ultimi sessant’anni. Costruttori e proprietari trovano nella casa il massimo rendimento possibile dei propri investimenti e risparmi.
Ci sono migliaia di pagine che descrivono questo fenomeno, a partire dai “sacchi” urbanistici degli anni ’60, ma tutto è rimasto com’era, anzi, si è amplificato e alimentato in ogni circostanza della vita del paese: dai terremoti agli anni santi, all’Expo, dalle Olimpiadi ai mondiali di nuoto, al mancato G8 della Maddalena. La casa in proprietà è stato il perno del welfare state democristiano costruito nel dopoguerra. In questo, la nostra tanto bistrattata classe dirigente è stata molto più lungimirante e saggia di quella americana. L’industria edile è stata necessariamente sovralimentata e in un certo senso assistita. Il credito è stato garantito a chi voleva costruirsi o comprarsi una casa. Le Casse di risparmio locali hanno concesso con larghezza mutui garantiti dagli immobili stessi. Anche la recente abolizione dell'Ici è stato un segnale per favorire la proprietà delle case e quindi la loro produzione.
Senza Ici, una delle principali entrate dei Comuni è data dagli “oneri di urbanizzazione” una sorta di tassa pagata dai costruttori sulla base dei volumi realizzati. Man mano che le altre entrate locali sono state tagliate o impedite, gli oneri di urbanizzazione hanno rappresentato un gettito ancor più importante che viene utilizzato per le spese normali e non per l’urbanizzazione delle aree. Anche la fame di risorse dei Comuni ha favorito l’espansione edilizia e il consumo del territorio a mezzo del mattone e del cemento.
Non vorrei esagerare, da amministratore ho subito attacchi provenienti anche da altri settori economici oltre a quello delle costruzioni, ma al confronto erano scaramucce. I commercianti del centro, ad esempio, mi hanno consegnato un paio di volte le chiavi (false) dei loro negozi per protesta. Perché volevano le “distese di tavoli” gratis fuori dai bar e dai ristoranti; chiedevano che il Comune vietasse l’apertura di nuovi esercizi commerciali per decreto; pretendevano che le auto potessero circolare e parcheggiare ovunque, specie le loro. I commercianti ambulanti poi, si erano immaginati di poter aprire le bancarelle in qualsiasi giorno in qualsiasi piazza del centro storico patrimonio Unesco, come è stato loro permesso a Firenze o a Venezia. Ma i commercianrti non sono un esercito in grado di muovere offensive durature. Sono troppo divisi fra piccola distribuzione fissa, grande distribuzione, ambulanti, esercizi del centro e della periferia, per essere in grado di condizionare davvero le politiche locali.
Nella mia città, complice anche il relativo sottosviluppo dei primi decenni del dopoguerra, l’espansione edilizia è stata contenuta da un buon governo del territorio fino agli anni ’90: protezione del centro storico, inedificabilità di alcune aree di pregio, persino la creazione di un “parco urbano” di centinaia di ettari alle porte della città verso il fiume Po (dove anticamente erano le riserve di caccia dei duchi) che abbiamo poi dedicato a Giorgio Bassani. Qualche intervento discutibile dei primi anni ’60: alcuni palazzi costruiti in mezzo alla strada, il “grattacielo” a due torri vicino alla stazione, dovuti più a limiti culturali delle amministrazioni e della politica di allora che non a tentativi speculativi dei privati (o forse le due cose insieme). Insomma, nella norma se non al di sotto: molto meno di quanto si è costruito e mal costruito in quegli anni nel resto d’Italia, anche in Emilia.
Alla fine degli anni ’80 l’equilibrio si rompe: c’è più reddito, più disponibilità a investire sia nella produzione di case sia nel loro acquisto, c’è anche l’esigenza di migliorare le condizioni medie di abitabilità. C’è soprattutto la Cooperativa Costruttori che alimenta la pressione a costruire: all’interno delle regole o in deroga al Piano regolatore vigente. Dall’altra parte, il sistema politico e amministrativo è disponibile ad accettare queste sollecitazioni esterne. Anche in buona fede: accogliere le richieste dei costruttori significa sostenere l’industria locale, l’occupazione e l’economia del territorio.
...
 

martedì 9 dicembre 2014

L'italia di oggi come la Russia di Gogol: piena di "anime morte"

"Sei anni trafficarono intorno a quell'edificio: ma, fosse il clima, che dava fastidio, o il materiale, che non era adatto, fatto sta che l'edificio governativo non andò oltre le fondamenta. E nel frattempo, all'altro capo della città, apparve per ciascuno dei membri [della commissione edilizia] una casa in bello stile architettonico: evidentemente il suolo là era migliore."

mercoledì 3 dicembre 2014

Un film da non perdere

     Ieri ho potuto vedere il film “MENO MALE E’ LUNEDI’”, di Filippo Vendemmiati, sull’esperienza di lavoro presso le carceri Dozza di Bologna. E’ un film molto bello, anche sul piano artistico ed espressivo. Non sono un esperto ma da spettatore ho apprezzato il senso della misura con cui viene rappresentato un luogo “oppressivo” come il carcere; la scelta delle musiche che fanno pensare più alla pace e all'isolamento dei conventi che alla mancanza di libertà di una prigione; la spontaneità dei dialoghi e degli interpreti che testimoniano la tristezza, la sofferenza ma anche le speranze legate a quella nuova esperienza di lavoro che si sta svolgendo al di là del lugubre corridoio sotterraneo che dal carcere porta all’officina. Da un lato la segregazione dove il tempo è senza dimensione, le ore e i giorni sempre uguali, dall'altra il lavoro, le sue regole, l'attenzione e la puntualità che richiede.
Soprattutto il film non racconta, mette in scena: i protagonisti di quell'esperienza nella loro quotidianità fanno capire sia il loro triste passato che la luce aperta dall'attività che stanno svolgendo. 
Rispetto ad altre esperienze di lavoro in carcere (troppo poche, per la verità), quella di Bologna si distingue perché si tratta di un lavoro qualificato (che prevede addestramento e controllo continui) e pagato in maniera regolare con un contratto. Non è decentramento di mansioni povere, sono commesse affidate a una società che si costituisce appositamente per produrre particolari, montare e collaudare macchine automatiche: non si può sbagliare, non si può tirare via. Se si sbaglia si smonta e si ricomincia fino a raggiungere la perfezione micrometrica necessaria.
Accanto ai carcerati che intraprendono questa esperienza come se stessero uscendo dalla loro condizione di detenuti, l'altro protagonista di grande rilievo del film sono i tutor: operai specializzati in pensione che preferiscono alzarsi presto e andare ad insegnare il loro lavoro in carcere piuttosto che "andare al bar a prendere un caffè con gli amici".
"Meno male è lunedì" trasmette a chi lo vede molti messaggi forti sulla fragilità della vita delle persone, sul senso di umanità che esiste al di là di qualsiasi differenza sociale e di status. 
I messaggi più potenti sono quelli relativi al valore del lavoro. Alla capacità del lavoro, se ricco di competenze, di mutare le condizioni di esistenza delle persone, il loro atteggiamento nei confronti di se stessi e degli altri. E alla necessità di trasferire le competenze del lavoro tra le generazioni e le persone, perché non sono fredde conoscenze tecniche ma capacità organizzative e relazionali. Il saper fare insieme diviene regola e fine del vivere in comunità, si potrebbe dire.
Quando uno dei carcerati racconta che un tempo disprezzava il lavoro operaio perché lui in un minuto guadagnava dieci volte più di quelli che andavano a lavorare in fabbrica e che ora è fiero di quello che ha appreso e che sa fare, spiega più di molte fumose sociologie sul superamento del concetto di lavoro. Quando uno dei tutor dice: "se dovessi incontrarli per strada li porterei a pranzo in trattoria" spiega che una barriera si è già rotta: che il reinserimento sociale è avvenuto prima che quelle persone escano dal carcere.
Il film "Meno male è lunedì" è da non perdere, l'esperienza della Dozza sarebbe da replicare.


  

mercoledì 26 novembre 2014

Volontari e giovani ai Fori romani: una iniziativa bellissima da replicare

Ieri mattina, invitato da Anna Ansaloni Ravenna, ho partecipato a una visita guidata ai Fori romani. La parte di competenza del Comune di Roma, per l'esattezza. Quella che non si visita mai e che sta tra il carcere Mamertino, la Curia senatoria e le pendici della Suburra.
La bellezza e la storia dei luoghi sono affascinanti (anche per noi) per come espropriavano, indennizzavano e radevano al suolo le case del popolo romano per costruire un nuovo Foro (a partire da Cesare, "il dittatore democratico" per usare la definizione di Luciano Canfora). Era una moda ellenistica? Forse. Sta di fatto che l'intrico di vicoli del centro di Roma lasciava il posto ad ampi spazi pubblici, ornati di templi, statue e, nel caso del "Foro della Pace", una biblioteca, piante officinali e botteghe per cure mediche (pare pagate dallo Stato per volontà di Vespasiano). Anche Cicerone ha perso la casa e ricevuto un indennizzo da Cesare che (geniale perfidia) aveva incaricato proprio lui di convincere i vicini di casa dell'utilità pubblica di costruire il Foro di Cesare (primo fra tutti). 

  Il Foro di cesare

Ma l'iniziativa è interessantissima anche per come è nata. Il "Fai" scuola, di Roma, di cui Anna è responsabile, ha avuto l'idea di organizzare visite delle scuole in cui alcuni studenti che si sono preparati fanno da guida ai loro compagni, altri fanno da "aprigruppo e chiudigruppo" altri stanno di rincalzo se c'è bisogno. Sorpresa delle sorprese, i ragazzi ascoltano in silenzio e si muovono in ordine come fossero turisti giapponesi...
Il tutto con la supervisione di archeologhe del Comune e l'assistenza di volontari della protezione civile che aiutano a ordinare il flusso di decine di classi delle superiori.


Con i ragazzi abbiamo visitato anche il Foro di Nerva con il bellissimo pseudoportico con statue e fregio.



E il Foro di Augusto, ai confini della Suburra e dei Mercati Traianei


A me pare che l'idea sia ottima per diversi motivi.
Intanto perché studiare la storia e la storia dell'arte esclusivamente sui libri a Roma (e in quasi tutte le città italiane) è un'assurdità didattica e culturale insieme. Si continua a insegnare una storia dell'arte imbalsamata a chi la può vivere dal vero... con le sovrapposizioni che l'arricchiscono. Come questa casa medievale signorile che sta ancora nel Foro di Cesare.


E poi perché insegnare ai ragazzi il metodo con cui si spiegano le cose ai propri compagni è il miglior modo di farle apprendere. Infine perché d'estate quei ragazzi potrebbero ben impiegare il loro sapere per svolgere un'attività utile alla loro città: quella della guida turistica (magari per comitive di giovani).
Quindi davvero complimenti ad Anna e alle sue colleghe per l'idea e il lavoro organizzativo.
Se si replicasse l'esperienza nelle altre città italiane daremmo un nuovo senso all'insegnamento della storia dell'arte e diffonderemmo la cultura del patrimonio storico e della sua tutela.
Bisognerebbe parlarne al Ministro Franceschini.

lunedì 24 novembre 2014

Pd(R): le chiacchiere stanno a zero

Mettiamo le cose in fila, senza far prevalere i giudizi e senza trarne tutte le conseguenze politiche. Solo per amore di verità, limitandoci ad osservare le situazioni certe.

Renzi è Segretario del Pd per aver vinto le primarie. Ma è diventato Presidente del Consiglio senza passare per nessun voto popolare.
Da segratario Pd ha restaurato il "centralismo democratico" e relegato il dibattito interno al suo partito a mera testimonianza del dissenso. La discussione nel Pd non serve a definire le scelte politiche del Partito ma a contare i favorevoli e i contrari alle decisioni del Segretario, per poi richiedere comportamenti parlamentari coerenti.

 Per amore di oggettività bisogna ricordare che si tratta dello stesso gruppo dirigente Pd che aveva impedito a Bersani di proporre una credibile candidatura alla Presidenza della Repubblica. (Per cui verrebbe di dire che se lo meritano il "centralismo poco democratico", ma questa è solo un'opinione).

Come Presidente del Consiglio Renzi ha avviato il superamento della seconda camera (il Senato) senza modifica costituzionale e ha ridotto il Parlamento a un luogo di ratifica (sulla fiducia) dei suoi provvedimenti legislativi (spesso generici e affidati a decretazione successiva). Il dibattito parlamentare non serve a definire le leggi ma a contare i favorevoli e i contrari alle proposte di legge del Governo.

In sintesi: un Segretario trasforma un partito popolare in un partito personale, un Presidente del Consiglio comprime uno dei tre poteri fondamentali della democrazia (quello legislativo) a strumento dell'esecutivo. Le due cose, separatamente, sarebbero gravi. Il fatto che siano compiute dalla stessa persona dovrebbe essere motivo quantomeno di ulteriore allarme.

Per amore di oggettività bisognerebbe anche qui ricordare che si tratta di un Parlamento eletto sulla base di una legge incostituzionale (come sancito dalla Cassazione) e tenuto in vita dalla decisione del Presidente della Repubblica di non scioglierlo e indire nuove elezioni.
Sempre per amore di oggettività si deve aggiungere che responsabili di questo scempio sono i dirigenti del Pd prima di Renzi che hanno preferito "tentare" la sorte elettorale con la vecchia legge "Porcellum" invece che imboccare la strada della riforma. Ma questa responsabilità non può essere considerata un'attenuante per il modo con cui Renzi guida Parlamento e Governo: anzi. Alla fin fine si tratta di due poteri che operano pur non essendo validati da un voto legittimo.
In altri tempi la sinistra si sarebbe mobilitata contro questa occupazione non autorizzata delle istituzioni. Se questo percorso di presa del potere lo avesse attuato il capo di Forza Italia la sinistra avrebbe certamente mobilitato il popolo a difesa delle istituzioni repubblicane.

Sinceramente non so in quanti Paesi dell'Unione Europea ci sia una situazione democratico istituzionale paragonabile alla nostra.
Si potrebbe dire che (senza modifica costituzionale) siamo ormai in presenza di due sistemi presidenziali (non uno solo). Il primo è il "tutoraggio" quotidiano che il Presidente della Repubblica svolge nei confronti del Parlamento, del Governo, e del Presidente del Consiglio, il secondo presidenzialismo è quello che il Presidente del Consiglio svolge nei confronti del Parlamento. Un doppio presidenzialismo non esiste in nessuna democrazia occidentale.
Ricordiamoci solo del fatto che la Regina Elisabetta, nella "madre" di tutte le democrazie, quando accede al Parlamento inglese è tenuta simbolicamente a bussare alla porta per farsi aprire...

Per tornare alle nostre "stalle", bisogna poi ricordare che da domenica, il presidenzialismo regionale in Emilia Romagna funziona sulla base di un voto di minoranza: una minoranza dei cittadini ha votato, la maggioranza relativa di quella minoranza (non certo il 51%) ha eletto il Presidente. Credo sia la prima volta da quando esiste il voto diretto alle regionali (e la chiamano "una vittoria netta"...).

Per completare questo quadro non esaltante bisognerebbe dire che questi malesseri della democrazia italiana, visti da una scala sovranazionale, sono variabili quasi irrilevanti rispetto alle politiche che il Paese assume. La forma del Governo, la forma del l'attività parlamentare (e a cascata delle altre istituzioni) non contano quasi nulla di fronte alle scelte polithce che vengono prese in Europa e dall'Europa imposte. Per concludere si dovrebbe poi precisare che le politiche europee non vengono prese dalle istituzioni europee ma dalla Bundesbank con il sostegno della Germania.
Così il quadro dell'impoverimento della democrazia nella crisi è completo.



sabato 22 novembre 2014

Un chiarimento necessario nel Pd emiliano


Nei giorni scorsi avevo rivolto qualche domanda ai candidati ferraresi Pd al Consiglio regionale, per capire se sul rapporto tra Partiti, Istituzioni, corpi intermedi, il Pd emiliano romagnolo sia su posizioni diverse da quello nazionale e, in conseguenza, decidere se votarlo o no. L’ho domandato a loro e non al candidato alla presidenza Bonaccini semplicemente perché non lo conosco . Lo dico a suo merito perché è segno che il Emilia il rinnovamento c’è stato davvero (magari a demerito di quelli che a governare ci sono rimasti venti anni, ma questo è altro discorso…). 
Paolo e Marcella mi hanno dato risposte interessanti (cui ho mosso qualche obiezione) e una disponibilità a parlarne in pubblico dopo le elezioni del 23.
Dopo il comizio finale di Renzi al Pala Dozza e l’attacco (politicamente e umanamente) volgare a Susanna Camusso e alla Cgil, penso che l’incontro con Paolo e Marcella sia ancora più utile e urgente, se ne avranno voglia e tempo. Non per difendere o rettificare le dichiarazioni di Renzi ma per capire che tipo di rapporto a Ferrara e in Emilia si potrà tenere tra sindacati e istituzioni al fine di avviare politiche economiche e sociali più efficaci e rispondenti alle emergenze (il lavoro prima di tutto) e ai bisogni delle comunità.
Ci sono sostanzialmente 3 modelli cui richiamarsi. Uno è quello emiliano classico: le decisioni spettano alle istituzioni ma prima, durante e dopo l’iter legislativo e decisionale ci si confronta a 360 gradi con la società, l’economia, e le altre istituzioni regionali per trarne suggerimenti e richiedere comportamenti coerenti. Chiamatela come volete, in genere si chiama concertazione, o programmazione negoaziata o dialogo sociale, nella sua forma più blanda. Tutti vengono consultati, nessuno ha diritto di veto sui provvedimenti, si possono generare ulteriori accordi specifici di applicazione o verifica attuativa. Questo modello ha il pregio di produrre maggiore consenso sociale sui provvedimenti istituzionali assunti e coinvolgere attivamente gli attori economici e sociali privati. Un secondo modello (non abituale in Emilia ma in gran voga a Roma) è quello che esclude consultazioni formali e pubbliche e ascolta quotidianamente i suggerimenti e le pressioni delle lobby. Può essere un sistema utile a rappresentare interessi particolari ma non produce convergenza e coesione, anzi. Il terzo modello (praticato dai partiti di massa fino agli anni ’70) prevede che la rappresentanza degli interessi sociali sia mediata dalla rappresentanza politica (la società ha voce solo attraverso i partiti e non fuori di essi), e che esistano organizzazioni sociali proprie dei partiti e non autonome (tant’è che ieri Giuliano Ferrara sollecitava Renzi a fondare un proprio sindacato). Ma per praticare questo modello ci vogliono partiti solidi, diffusi e radicati, non partiti leggeri o elettorali in cui il consenso è garantito dal leader nazionale o dal web.
In Pd nazionale pratica il modello delle lobby, anche se sembra occhieggiare il terzo. 
In Emilia che si intende fare?
Come è ovvio, il modello di relazioni che si sceglie non è neutrale rispetto alle politiche che si intendono adottare, e viceversa. Il programma sulla creazione di lavoro che Bonaccini ha pubblicato sul suo sito, in cui tutta la società emiliano-romagnola partecipa alla creazione e alla diffusione dell’innovazione e alla crescita si adatta solo al primo modello di relazioni: quello della concertazione. Ma questo è contrario alla propaganda e alla pratica del Pd renziano. Allora, cosa intende fare il Pd emiliano-romagnolo?